A caccia di Microplastiche!

Ciao! Sono Stefano Bellomo, biologo e citizen scientist. Ho una missione: voglio riconnettere le persone con la bellezza e lo spirito di Madre Natura attraverso uno storytelling positivo e una comunicazione coinvolgente.

Collaboro con la Jonian Dolphin Conservation di Taranto dal 2015 come Marine Mammal Observer & International Education Projects Coordinator e, dal 2018, come Social Media Manager.

Nel 2013 ho fondato un’associazione: GreenRope. Attraverso quest’organizzazione ho creato, insieme al mio fantastico team, molte iniziative locali e internazionali, collaborando con molti partner (WWF, Protect Blue, Ecosurf, e altri) e diverse scuole di Surf & SUP.

Il nostro obiettivo è sensibilizzare e educare le persone alla tutela e valorizzazione delle risorse naturali.

Dal 2017 faccio parte del Team degli Ocean Ambassadors di Starboard.

Grazie a SUPNEWS MAG voglio condividere con voi il mio amore per il Grande Blu.



Questo mio primo racconto vuole approcciare la problematica delle microplastiche. Ho attaccato un retino phytoplanctonico alla tavola e via, pagaiando, si raccolgono le microplastiche.

Ovviamente questa non rappresenta e non è la soluzione al problema dell’inquinamento da plastica, ma è una nuova iniziativa volta a rimuoverne una parte dal mare e soprattutto continuare a sensibilizzare su questo importante tema.

La fase di test è superata, quindi, presto, inizierò a realizzarla attraverso la campagna PLASTIC PIRATES e grazie al supporto di STARBOARD.



Ogni anno vengono prodotte circa 400 milioni di tonnellate di plastica e il 40% di questa quantità viene utilizzata una sola volta e poi gettata via.

Nel 2015 l’Università della Georgia ha pubblicato una stima della plastica che finisce negli oceani di tutto il mondo: da 4 a 12 milioni di tonnellate ogni anno.

Nessuno di noi sa esattamente per quanto tempo la plastica rimarrà nell’ambiente: le stime vanno da 450 anni a ignoto.

Non è tutto. Onde, sole e vento rompono i detriti di grandi dimensioni in piccoli pezzi di 5 mm o meno. Questi piccoli frammenti, chiamati microplastiche, sono dannosi per animali di qualsiasi taglia: dalle grandi balene, al minuscolo zooplancton.

È stato calcolato che quasi 700 specie di fauna selvatica sono state colpite negativamente dall’inquinamento da plastica, alcune delle quali hanno subito molte altre minacce a causa dell’uomo, come la perdita e distruzione dei loro habitat. Si stima che circa il 90% degli uccelli marini abbia ingerito plastica e più di 100.000 mammiferi marini vengono uccisi da detriti di plastica ogni anno.

Gli animali mangiano la plastica scambiandola per cibo. Uno dei motivi è che quando la plastica galleggiante è ricoperta dalle alghe ed ha lo stesso odore, appunto, del loro cibo.

La plastica è letteralmente entrata nella nostra catena alimentare. Al giorno d’oggi, nessuna prova mostra che i tessuti biologici dei pesci assorbano le microplastiche dal loro intestino. La maggior parte dei detriti ingeriti tende a rimanere nello stomaco. Purtroppo, il vero problema è ciò che non possiamo vedere.

Gli inquinanti chimici potrebbero passare dall’intestino ai tessuti biologici e quindi agli esseri umani che mangiano quei pesci. Alcune di queste sostanze chimiche possono alterare la normale funzione degli organi e possono causare il cancro. Inoltre, gli scienziati prendono seriamente in considerazione l’ipotesi che le microplastiche si rompano in particelle molto più piccole chiamate nano-plastiche, ma nessuno ha mai trovato queste nanoparticelle nell’ambiente e gli strumenti che abbiamo al momento non possono identificarle, ma gli scienziati ritengono che siano e che abbiano tutte le caratteristiche per essere assorbite nei tessuti biologici.



Un recentissimo studio italiano ha, purtroppo, dimostrato la presenza di microplastiche della grandezza compresa tra 5 e 10 micron (1 micron = millesima parte del millimetro) nella placenta di alcune donne.

Sono dati che lasciano tutti un po’ con un senso di impotenza dinanzi a un problema di proporzioni enormi.

È proprio in questi anni, è proprio ogni giorno che, invece, si gioca la partita fondamentale di risolvere questo problema ed ognuno di noi è protagonista. Ogni singola azione conta.

Tutti vorrebbero una soluzione innovativa e affascinante, ma la verità è che il problema è troppo vasto per cui dobbiamo partecipare tutti alla soluzione: cittadini, scuole, istituzioni, industrie, comunità, governi. È inoltre necessario considerare questo problema a livello globale, a partire dall’implementazione di corretti sistemi di raccolta dei rifiuti, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.

Fortunatamente, ci sono buone notizie. Diversi Paesi hanno vietato i sacchetti di plastica, le stoviglie usa e getta, le microsfere nei cosmetici, alcune aziende stanno adottando sempre più imballaggi riutilizzabili, compostabili e riciclabili e si svolgono sempre più eventi di pulizia delle spiagge in tutto il mondo. Nel 1982, la percentuale di plastica riciclata era zero. Oggi è intorno al 18%. Le bottiglie sono tra gli articoli in plastica più riciclati. Altri, come le cannucce, sono più difficili da riciclare adeguatamente. Quindi c’è ancora molto da fare.



Cosa possiamo fare tutti nella nostra vita quotidiana?

Per prima cosa, evitare la plastica usa e getta come borse, cannucce, posate e bicchieri. Ci sono molte soluzioni possibili. Devi solo abituarti a loro: porta con te borse riutilizzabili quando vai al supermercato; non chiedere una cannuccia quando ordini delle bibite; usa una bottiglia d’acqua che puoi riempire dopo ogni utilizzo; acquista prodotti sfusi, evita gli alimenti con imballaggi in plastica e scegli una saponetta al posto del sapone liquido confezionato in bottiglie di plastica e, alla fine, ricicla il più possibile.


Per saperne di più:

“The Plastic Tale” – http://www.adventurebiologist.com/eng/the-plastic-tale


“Plasticenta: First evidence of microplastics in human placenta”

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0160412020322297?fbclid=IwAR0CvM1PzgUtsD1vhBBfo3RjndKs-M8puHVulCJ86gtOG2ErbfUrYaskWGo


 

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